Ugo Foscolo
DELL’ORIGINE E DELL’UFFICIO DELLA LETTERATURA.
Orazione
I.
Un solenne avvio agli studi sono le lodi degli
studi stessi; ma questo è un soggetto già troppo trattato da professori e
uomini d’ingegno che ritornarvi in quest’aula sembra ardito e inopportuno. E io che ho oggi il compito di inaugurare in
questa sede gli studi degli uomini dotti
che li impartiscono e dei giovani che li intraprendono, non sarei capace di
allontanarmi dalle arti che sono chiamate letterarie; esse sono quelle che la natura mi comandò di coltivare con lungo
e generoso amore, ma dalle quali mi hanno spesso distolto le vicende
personali e la mia giovenile imprudenza,
tanto che io confesso di essere più loro devoto che vero cultore. Ho sempre
pensato che le lettere siano connesse con tutto l’umano sapere come le forme alla materia; e considerando quanto
sono trascurate mi sono accorto che è difficile acquisirle ed ancor più farle
fruttare utilmente. Sciagura comune a
tanti altri beni che la natura volle donare alla vita dell’uomo per consolarla della brevità,
dell’inquietudine e della fatale inimicizia reciproca della nostra specie;
tali beni sono posseduti, benché raramente, da coloro che sanno avvalersene o non abusarne.
Gli annali letterari e le scuole
contemporanee ci mostrano che vi sono uomini che generosamente studiano
scienze e lettere, ma non sanno che
farsene, o le lasciano immiserire dentro
di sé con timida e infeconda avarizia, o le usano in modo disordinato ed
esagerato. E così mi sembra opportuno per tutte le discipline ma
particolarmente per quelle letterarie, l’intenzione di parlare davanti a voi,
Reggente magnifico, professori egregi e benemeriti di tutte le scienze, ingenui
giovani che confortate di speranze questa patria - la quale, nonostante le
avverse fortune, ha sempre nutrito ed ospitato le muse -; davanti a voi tutti,
gentili uditori, mi sembra opportuno parlare oggi “dell’Origine e dell’Ufficio
della Letteratura”.
II.
Sono convinto che l’origine delle cose riveli a
quali uffici ogni cosa sia a principio ordinata nell’economia dell’universo, e
quanto le vicende storiche e i cambiamenti nelle opinioni degli uomini abbiano
fatto crescere l’uso e l’abuso di esse. Mi sembra allora necessario conoscere
da quali bisogni umani scaturisca l’origine delle lettere, e stabilire se l’uso
primitivo differisca in meglio o in peggio dagli usi posteriori; insomma
scoprire, per quanto sia possibile, come nella applicazione delle arti
letterarie s’abbia a rispondere all’intento della natura. La natura infatti non
fornisce mai facoltà senza bisogni né bisogni senza facoltà, né mezzi senza
scopo; e rivela l’ingratitudine e i capricci degli uomini solo per indurli a
pentirsi, cancellando l’utilità e il piacere delle cose che l’orgoglio del
misero uomo pretende di correggere. E credo inoltre che i pregi e frutti di
un’arte si mostrino solo agli uomini consapevoli di quali siano i doveri di
quell’arte, di come quell’arte possa incrementare il sapere universale e
portare benefici alla vita civile. Allora le intelligenze si avvicineranno alle scuole non tanto con inconsiderato
fervore, quanto prevedendone le difficoltà, gli obblighi e i pericoli;
allora l’ardire magnanimo sarà in
consegna della prudenza che misura le
proprie forze; e le forze non verranno sprecate in pomposi esperimenti ma indirizzate a volo determinato e sicuro; allora,
o giovani, imparerete che la ricompensa agli studi e la loro utilità per la
vostra patria sono connesse alla dignità
e a’ progressi dell’arte da voi coltivata. E tuttavia se occuparsi delle
arti dà grandi soddisfazioni, obbligare ad occuparsi delle arti sarà sempre o
un pericolo o un fatto difficile da conseguire; e ancor più per la letteratura,
nella quale la dimenticanza e l’impunità impediscono che sia riconosciuto
l’ufficio della medesima e che ad esso si obbedisca. E chi tenta di obbedirvi
deve scontrarsi con molte celebrate
opinioni ed usanze santificate da tempo, deve combattere contro fazioni di antiche scuole e l’autorità
di coloro che presumono di essere illustri
e sicuri possessori delle lettere.
III.
Te
dunque invoco, o Amore del vero! Tu alle menti che si consacrano a te,
riveli gli inganni delle apparenze; tu doni fiducia; rendi nobile la voce di
coloro che parlano di te; cancelli con il tuo puro lume la barbarie, l’ignoranza e le superstizioni; senza di te le fatiche
degli scrittori sarebbero inutili e gli
elogi dei principi e la gloria delle nazioni inutilmente spererebbero eternità.
Te invoco, o Amore del vero! Armami di
generoso ardimento e liberami, al tempo stesso, dagli errori della passione
e dai pregiudizi del mio secolo. Fai
in modo che la mia parola sia libera
da servitù e da speranze, ma altresì da ira,
presunzione, immoralità e insana faziosità. La
tua ispirazione, diffondendosi dalla
mia mente nella mente di quanti mi
ascoltano, farà in modo che molti guardino più a fondo ciò che io potrò
solo vedere da lontano e indicare in modo incerto. E se io, seguendo soltanto
le tue orme, non dirò grandi novità - poiché tu sei antico come la natura, la
quale sempre più riveli allo sguardo degli uomini - allora mostrami almeno la più
autentica delle forme della natura; forme molteplici che, talvolta avvolte
d’oscurità, talvolta di splendore, provocano spesso angoscia o abbagliano chi
le guarda.