mercoledì 21 giugno 2017

Ugo Foscolo: "Dell'origine e dell'ufficio della letteratura I-III"; riscritto in lingua italiana più corrente

Ugo Foscolo
DELL’ORIGINE E DELL’UFFICIO DELLA LETTERATURA.
Orazione

I.            Un solenne avvio agli studi sono le lodi degli studi stessi; ma questo è un soggetto già troppo trattato da professori e uomini d’ingegno che ritornarvi in quest’aula sembra ardito e inopportuno. E io che ho oggi il compito di inaugurare in questa sede gli studi degli uomini dotti che li impartiscono e dei giovani che li intraprendono, non sarei capace di allontanarmi dalle arti che sono chiamate letterarie; esse sono quelle che la natura mi comandò di coltivare con lungo e generoso amore, ma dalle quali mi hanno spesso distolto le vicende personali e la mia giovenile imprudenza, tanto che io confesso di essere più loro devoto che vero cultore. Ho sempre pensato che le lettere siano connesse con tutto l’umano sapere come le forme alla materia; e considerando quanto sono trascurate mi sono accorto che è difficile acquisirle ed ancor più farle fruttare utilmente. Sciagura comune a tanti altri beni che la natura volle donare alla vita dell’uomo per consolarla della brevità, dell’inquietudine e della fatale inimicizia reciproca della nostra specie; tali beni sono posseduti, benché raramente, da coloro che sanno avvalersene o non abusarneGli annali letterari e le scuole contemporanee ci mostrano che vi sono uomini che generosamente studiano scienze  e lettere, ma non sanno che farsene, o le lasciano immiserire dentro di sé con timida e infeconda avarizia, o le usano in modo disordinato ed esagerato. E così mi sembra opportuno per tutte le discipline ma particolarmente per quelle letterarie, l’intenzione di parlare davanti a voi, Reggente magnifico, professori egregi e benemeriti di tutte le scienze, ingenui giovani che confortate di speranze questa patria - la quale, nonostante le avverse fortune, ha sempre nutrito ed ospitato le muse -; davanti a voi tutti, gentili uditori, mi sembra opportuno parlare oggi “dell’Origine e dell’Ufficio della Letteratura”.

II.         Sono convinto che l’origine delle cose riveli a quali uffici ogni cosa sia a principio ordinata nell’economia dell’universo, e quanto le vicende storiche e i cambiamenti nelle opinioni degli uomini abbiano fatto crescere l’uso e l’abuso di esse. Mi sembra allora necessario conoscere da quali bisogni umani scaturisca l’origine delle lettere, e stabilire se l’uso primitivo differisca in meglio o in peggio dagli usi posteriori; insomma scoprire, per quanto sia possibile, come nella applicazione delle arti letterarie s’abbia a rispondere all’intento della natura. La natura infatti non fornisce mai facoltà senza bisogni né bisogni senza facoltà, né mezzi senza scopo; e rivela l’ingratitudine e i capricci degli uomini solo per indurli a pentirsi, cancellando l’utilità e il piacere delle cose che l’orgoglio del misero uomo pretende di correggere. E credo inoltre che i pregi e frutti di un’arte si mostrino solo agli uomini consapevoli di quali siano i doveri di quell’arte, di come quell’arte possa incrementare il sapere universale e portare benefici alla vita civile. Allora le intelligenze si avvicineranno alle scuole non tanto con inconsiderato fervore, quanto prevedendone le difficoltà, gli obblighi e i pericoli; allora l’ardire magnanimo sarà in consegna della prudenza che misura le proprie forze; e le forze non verranno sprecate in pomposi esperimenti ma indirizzate a volo determinato e sicuro; allora, o giovani, imparerete che la ricompensa agli studi e la loro utilità per la vostra patria sono connesse alla dignità e a’ progressi dell’arte da voi coltivata. E tuttavia se occuparsi delle arti dà grandi soddisfazioni, obbligare ad occuparsi delle arti sarà sempre o un pericolo o un fatto difficile da conseguire; e ancor più per la letteratura, nella quale la dimenticanza e l’impunità impediscono che sia riconosciuto l’ufficio della medesima e che ad esso si obbedisca. E chi tenta di obbedirvi deve scontrarsi con molte celebrate opinioni ed usanze santificate da tempo, deve combattere contro fazioni di antiche scuole e l’autorità di coloro che presumono di essere illustri e sicuri possessori delle lettere.


III.      Te dunque invoco, o Amore del vero! Tu alle menti che si consacrano a te, riveli gli inganni delle apparenze; tu doni fiducia; rendi nobile la voce di coloro che parlano di te; cancelli con il tuo puro lume la barbarie, l’ignoranza e le superstizioni; senza di te le fatiche degli scrittori sarebbero inutili e gli elogi dei principi e la gloria delle nazioni inutilmente spererebbero eternità. Te invoco, o Amore del vero! Armami di generoso ardimento e liberami, al tempo stesso, dagli errori della passione e dai pregiudizi del mio secolo. Fai in modo che la mia parola sia libera da servitù e da speranze, ma altresì da ira, presunzione, immoralità e insana faziosità. La tua ispirazione, diffondendosi dalla mia mente nella mente di quanti mi ascoltano, farà in modo che molti guardino più a fondo ciò che io potrò solo vedere da lontano e indicare in modo incerto. E se io, seguendo soltanto le tue orme, non dirò grandi novità - poiché tu sei antico come la natura, la quale sempre più riveli allo sguardo degli uomini - allora mostrami almeno la più autentica delle forme della natura; forme molteplici che, talvolta avvolte d’oscurità, talvolta di splendore, provocano spesso angoscia o abbagliano chi le guarda.

Disgustosa politica nazionale

Disgustato, affranto dai discorsi della politica nazionale, mi domando che opposizione è, se sia opposizione quella che si limita a denigrare l'avversario, a gettare via tutto rifiutando un'analisi vera dei provvedimenti, delle proposte di legge. Un'analisi capace anche una buona volta di dire "questa cosa è sacrosanta" o "questa parte della legge è giusta". Un'opposizione capace finalmente di essere propositiva, di unirsi alle parti sane del governo per migliorare qualcosa. 
E invece l'opposizione ci propone ogni giorno l'immondo spettacolo del "rigetto tatale". Prevale una furiosa irrazionalità, il risentimento che dà voce alla pancia della nazione. 
A che fine se non a quello di sostituirsi nella gestione del potere a quelli che ora ci stanno. 
Questa è politica?
Mi domando anche se dietro queste forze di opposizione non ci sia un potere oscuro che trama per rovesciare la democrazia o meglio quello che ancora rimane della democrazia in questo paese.
Quello infatti che passa nell'opinione pubblica è che questo Parlamento è inutile, che il governo è una banda di ladri, che la discussione politica è un puro esercizio retorico e non la generosa ricerca del bene comune.

venerdì 23 dicembre 2016

IL PRINCIPE di Machiavelli - riscritto in italiano corrente (con qualche ellisse) - DEDICA e capitoli 1-2



DEDICA
Nicolò Machiavelli al Magnifico Lorenzo de’ medici

Spesso coloro che vogliono ingraziarsi un Principe gli portano in dono le cose che hanno più care o che ritengono più facciano a lui piacere: cavalli, armi, tessuti d’oro, pietre preziose ed altri ornamenti.
Poiché desidero io stesso offrire qualcosa alla vostra Magnificenza, non ho trovato tra le mie suppellettili cosa più cara quanto la cognizione delli uomini grandi, che ho imparato grazie a una lunga esperienza delle cose moderne et una continua lezione delle cose antique. Avendo racchiuso, dopo un diligente e lungo studio, queste mie cognizioni in un piccolo volume, ora ve lo invio. E sebbene giudico indegna questa mia opera della vostra Magnificienza, spero che la vostra umanità la accetti, considerando che dono più grande io non posso fare che di darvi modo di intendere in brevissimo tempo quello che in tanti anni, disagi e pericoli trascorsi, io ho imparato.
Non ho portato alcun ornamento alla mia opere, né ho usato parole ampollose o adulatorie come molti hanno l’abitudine di fare, perché ho voluto che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la renda gradita a voi.
Non reputatemi presuntuoso se da uomo di basso e infimo stato, quale sono, ho avuto il coraggio di spiegare e fornire regole al governo dei principi. Infatti come i geografi nel disegnare monti e luoghi alti si pongono in basso e nel disegnare luoghi bassi si mettono sui monti, così a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, et a conoscere bene quella de’ principi, bisogna essere populare.
Accetti dunque, Vostra magnificenza, questo piccolo dono e se ben lo leggerà vi scorgerà dentro il mio desiderio che Lei pervenga a quella grandezza e fortuna che le sue qualità meritano. E se la Vostra Magnificenza qualche volta poserà gli occhi in questi luoghi bassi, si renderà conto di quanto io indegnamente sopporti una grande e continua malignità di fortuna.

CAP. 1 – Di quante ragioni sieno i principati, e in che modo si acquistino

Tutti gli stati, tutti i governi che hanno comandato e comandano delle comunità, sono stati e sono o repubbliche o principati. I principati sono ereditari o nuovi. I nuovi o lo sono completamente, come è successo con Francesco Sforza a Milano, o si tratta di membri acquisiti allo stato ereditario del principe, come nel caso del regno di Napoli acquisito dal re di Spagna. Questi domini così acquisiti sono soliti vivere o sottomessi a un principe o liberi; e vengono conquistati, o con armi d’altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.


CAP. 2 – De’ principati ereditari

Non mi occuperò delle repubbliche, perché già a lungo me ne occupai in un altro libro. Mi concentrerò solo sul principato e argomenterò sul come questi principati si possino governare e mantenere.
Affermo intanto che negli stati ereditari e abituati ad un principe è più facile conservare il potere che nei nuovi principati; poiché nei primi stati è sufficiente seguire l’ordinamento dato dagli antenati e temporeggiare con gli accidenti; in questo modo se il principe è di normali capacità, conserverà sempre il suo stato, a meno che non si scontri con una potenza estraordinaria et eccessiva. Ma anche in questo caso facilmente riconquisterà il suo principato.

In Italia, ad esempio, il duca di Ferrara ha ceduto agli assalti dei veneziani nell’84 e poi a quelli del Papa nel 10, ma non per la ragione che era principe da molto tempo. Infatti il principe naturale ha meno motivi e meno necessità di offendere e pertanto solitamente è più amato. E se estraordinari vizii non lo rendono odioso, è ragionevole che sia benvoluto dai sudditi: in un tale principato ogni novità appare come naturale, gli urti non sono mai troppo violenti. 

mercoledì 3 aprile 2013

Piercing perchè? - Esercitazione italiano L2

Qui di seguito un'esercitazione di italiano L2 per studenti stranieri di livello A2-B1.
Si basa sull'ascolto di un video - Piercing perchè? - il cui link è indicato nel titolo dell'esercitazione.



PIERCING PERCHÉ? – PROVA D’ASCOLTO


 

Il piercing

·         veniva usato anche nell’antica Roma

·         veniva usato anche in Egitto

·         è una moda di contemporanea

 

I marinai si facevano il piercing all’orecchio perché così credevano

·         di essere più forti

·         di vederci meglio

·         di sentire meglio i rumori

 

Una legge europea stabilisce che i piercing

·         non possono essere usati dalle donne

·         sono sempre pericolosi

·         non devono contenere nichel

 

E’ più rischioso fare un piercing

·         sull’orecchio

·         sul naso

·         sulla lingua

 

Chi esegue il piercing

·         non è necessario che abbia un permesso

·         deve avere un certificato sanitario specifico

·         deve essere un medico

 

PROVA LESSICALE

 

centurione
 
decorare
 
allergia
 
normativa
 
guarire
 
infettare
 
ambulatorio
 
neo
 
perforare
 
trasformazione
 
igiene
 
discriminare
 
patologico
 

 

Studio medico – malato – bucare – pulizia – militare dell’antica Roma – abbellire – legge – ammalarsi – contaminare – cambiamento – recuperare la salute – fare differenze – macchia scura sulla pelle - ipersensibilità verso certe sostanze

 

COMPOSIZIONE SCRITTA

Perché, secondo te, tanti giovani amano fare piercing o tatuaggi?

martedì 19 marzo 2013

POESIE DI KABIR
 
III
Amico, spera nel presente della vita,
conosci e comprendi l'oggi della tua vita,
perchè nella vita è la tua liberazione.
 
Se non sciogli le le corde che ti legano durante la vita
che speranza avrai di liberarti nella morte?
Credere che l'anima si unirà a Lui
solo perchè ha abbandonato il corpo
è un'idea assurda.
 
Se lo incontriamo oggi,
lo incontreremo anche dopo.
Altrimenti abiteremo nella città della morte.
 
Se ti unisci a Lui oggi
lo resterai per l'eternità.
Bàgnati nella Verità!
Conosci il vero Maestro!
Abbi fede nel suo Nome!
 
Ci aiuti lo Spirito della costante ricerca:
sono lo schiavo di questo spirito.
 
IV 
Non andare al giardino fiorito
non andarci, amico!
Dentro di te sono il giardino
e i suoi fiori.
Chinati sopra il loto dai mille petali
e contempla l'infinita bellezza.

sabato 7 aprile 2012

A un vincitore nel pallone (parafrasi) - G. Leopardi

A parte la bellezza di alcuni passaggi del testo originale, mi sembra che valga la pena di leggere oggi questo magnifico testo del 1821 in un linguaggio più semplificato. E' per questo che non trovando una parafrasi in rete mi sono io stesso accinto all'opera.

A UN VINCITORE NEL PALLONE

Giovane di nobile animo, insegna quanto la virtù che costa fatica sia migliore dell'ozio femmineo, quanto riempia di gloria il viso e renda gioconda la voce. Fai attenzione! concentrati, generoso campione (e ti auguro che il valore sottragga il tuo nome alla rapida fuga degli anni), fai attenzione e suscita alti desideri nei cuore. Lo stadio pieno di voci e il favore popolare pronunciano il tuo nome con un fremito. Oggi la cara patria ti spinge, nel rigoglio della giovinezza, a rinnovare gli "antichi esempi".
Colui che guardò con animo insensibile i nudi atleti, il campo di Olimpia e le difficoltà della palestra, non sporcò nemmeno la sua mano del sangue barbarico nella battaglia di Maratona, nè mai desiderò  la corona della vittoria. Invece quel tale che lavò i capelli impolverati e i fianchi delle cavalle vincitrici nel fiume Alfeo (quello che scorre nei pressi di Olimpia) forse portò le insegne e le armi greche tra le schiere dei Persiani in fuga; quelle armi che fecero risuonare di grida sconsolate le acque dell'Eufrate e quelle terre di schiavi soggiogati ad un despota.

Giudicherai forse inutile colui che le nascoste scintille della nativa virtù scuote e rianima? Colui che rende vivo nei cuori induriti il fervore del debole spirito vitale, destinato a spegnersi? Da quando Apollo spinge le triste ruote del sole, sono forse qualcosa più che un gioco le opere degli uomini? E la realtà non è meno vana della vergogna? La natura stessa ci aiuta con lieti inganni e felici illusioni: e là dove malate abitudini ostacolanoi "forti errori", gli uomini lasciano le passioni gloriose per una squallida e oscura vita.

Verrà forse presto il giorno in cui greggi pascoleranno in mezzo alle rovine delle grandi opere italiche, il tempo in cui i sette colli di Roma saranno solo terra da arare; forse tra pochi anni le città europee saranno solo tane per volpi e fra le poderose mura mormorerà al vento una scura foresta; se il destino non rimuoverà dalle menti ormai pervertite la sciagurata dimenticanza delle memorie antiche, se il cielo, impietosito dal ricordo delle imprese di un tempo, non allontanerà dalla vile umanità la rovina ormai prossima.

Buon giovane, non ti auguro di sopravvivere alle rovine della tua terra. Un dono luminoso saresti stato per la sua vegetazione, ora inaridita. Non c'è rimedio alla nostra colpa. La stagione ormai è passata e oggi la nosta madre terra non riceve alcun onore. Dunque almeno per te stesso solleva lo sguardo all'orizzonte: a che serve la nostra vita? Solo a disprezzare la vita stessa. Felicè è la vita soltanto quando, travolta dal pericolo, dimentica se stessa e non misura il danno delle putride e lente ore; felice solo quando spinge il piede sulla soglia dell'oblio: allora ci pare più gradita.